Qualcuno li chiama “i terribili due”
Gli inglesi la chiamano Terrible two, una fase di profondi cambiamenti per il piccolo che comincia a percepirsi come unità corporea separata dai genitori
Marisol Trematore, pedagogista e Francesca Zanella, pedagogista
Improvvisamente urla, pianti inconsolabili e reazioni inaspettate. Il primo pensiero dei genitori è: «Ma cosa sta succedendo? Fino a ieri la pace e ora, di colpo, abbiamo in casa un piccolo rivoluzionario». Niente paura, siamo ufficialmente entrati nella fase che gli inglesi chiamano Terrible two, e possiamo anche già rassicurarci: come per ogni fase evolutiva, anch’essa ha un inizio, uno svolgimento e una fine. Ma rimane comunque un periodo che va compreso e affrontato attentamente, proprio per alleggerire le fatiche. Facciamo un bel respiro e cerchiamo insieme di capirne l’importanza per lo sviluppo dei bambini e come dovrebbero comportarsi i genitori.
Non solo “no”
Dobbiamo considerare che i bambini, come noi adulti, hanno il diritto di dire “no”, anche se questa diventa una specie di parola magica da ripetere ostinatamente per affermare la loro volontà e l’indipendenza dagli adulti (o anche solo per vedere che effetto fa).
Ma i due anni non sono solo l’età del “no”, dell’opposizione e della collera. Contemporaneamente, infatti, il bambino inizia a pronunciare spesso il pronome “io”, si riconosce allo specchio, percepisce la propria unità corporea e comincia a sentirsi una “persona” dotata di pensiero e volontà, separata dalla madre, dal padre e dalle altre figure di riferimento.
Il “bersaglio” preferito in questa fase di affermazione e opposizione è la mamma, ovvero la persona con cui ha più confidenza e con cui si sente maggiormente libero di esprimersi: è proprio da lei che sente di dipendere maggiormente ed è con lei che ha ancora paura di confondersi.
Ricordiamoci dunque che è attraverso “no” e “io” (e anche “mio”) che il bambino sperimenta la sua libertà e cerca di affermare la propria personalità; si fanno cioè strada in lui le prime forme di “pensiero individuale”. Le “obiezioni” rappresentano, quindi, null’altro che un richiamo all’autonomia.
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